Un manuale, “Neuromarketing Etico”, mette in luce teorie, riferimenti alla letteratura neuroscientifica, metodi di applicazione e riflessioni etiche con lo scopo di aiutare a realizzare un modello di impresa orientata al valore umano attraverso la disciplina del neuromarketing. Scritto da Simona Ruffino, neurobrand strategist, contiene anche il contributo di Fabrizio Bellavista di Emotional Marketing Lab. La prima parte, teorica e applicativa, vede protagonisti i processi cognitivi ed emozionali finalizzati alla lettura predittiva dei comportamenti di acquisto e alla costruzione di una brand identity di valore. Segue una seconda parte ricca di riflessioni, molto ampia che coinvolge la visione sociale del marketing e della comunicazione e tratta di una ipotesi neoumanistica, quindi una visione a noi cara, che sottolinea la centralità della persona e che Fabrizio Bellavista ha approfondito nel suo capitolo “Pollution Index. Una comunicazione sostenibile”.
Il suo intervento cerca di dare una risposta precisa alla domanda: il marketing e la comunicazione possono essere sostenibili? La risposta è affermativa: il contenuto della strategia e/o comunicazione, grazie all’uso degli algoritmi emozionali, diventa coerente con il portato anche valoriale del proprio brand e dunque risulta essere ‘vero’. Una comunicazione ‘vera’ nell’epoca dell’imperante ‘verosimile’ è, tra molteplici aspetti positivi, una dichiarazione di sostenibilità!
Aggiungiamo che evitare che un messaggio si disperda, non crei ‘rumore di fondo’ e ‘interferenze’ – in sintesi pollution – è altrettanto importante per definire meglio una comunicazione sostenibile ed efficace. Per ultimo ma certamente non come importanza c’è un altro plus della comunicazione sostenibile: cioè risparmiare almeno una parte dell’investimento nella comunicazione significa ridurre lo spreco, significa salvare posti di lavoro, significa far funzionare più scorrevolmente gli ingranaggi dell’economia e anche questo è sostenibilità.
Ricordiamo una ricerca fatta da Emotional Marketing Srl, a fine 2019, che andava a stabilire quanta “parte di messaggio” va perduta nella filiera comunicazionale. Il risultato è stato perentorio: la parte del budget/anno che in Italia non riesce a raggiungere correttamente il proprio target (a causa di diversi fattori) è pari a circa il 43% sul totale investito.